Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

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mercoledì 19 dicembre 2012

L'amico di Mussolini - incipit a confronto

Cari lettori, oggi voglio condividere con voi l'esperienza che ho fatto nell'iniziare il mio nuovo romanzo. Quindi parliamo di incipit. Non intendo annoiarvi con una trattazione sull'argomento (però: qual'è il vostro incipit preferito?) ma solo mettere a confronto la prima stesura con quella che, al momento, ritengo definitiva.
Mi piacerebbe avere qualche vostra osservazione in merito. Grazie!


PRIMA STESURA


L’ingegnere Valerio Morandi era infastidito dai modi dell’ufficiale cui si era rivolto. Eppure gli aveva posto una semplice richiesta: voleva vedere il Duce.
L’altro lo aveva squadrato a lungo prima di sibilare  “Motivo?”
“Una visita di cortesia” aveva risposto, cercando di essere conciliante. E gli aveva allungato il cartoncino dove stava, vergato con eleganza, il suo nome.
L’ufficiale aveva guardato con disprezzo il biglietto da visita, senza muovere un muscolo. Si era molleggiato per un attimo sulle gambe, forse per attirare l'attenzione sull’impeccabile lucidità degli stivali, poi l’aveva bruscamente liquidato. “Il Duce non può essere disturbato, da nessuno. Men che meno per visite di cortesia. Se ne vada!”
L'ingegnere ebbe un’esitazione; avrebbe voluto replicare seccamente, ma poi si era trattenuto per il timore che la sua naturale avversione per i militari lo portasse a eccedere. Restò per un attimo rigido, guardando l'altro negli occhi, poi batté in ritirata.

SECONDA STESURA

“Motivo?”
La domanda risuonò secca come un colpo di moschetto.
L’ingegnere Valerio Morandi cercò di non farsi intimidire dai modi arroganti dell’ufficiale di guardia. Restò impettito davanti a lui, fissandolo diritto negli occhi. Aveva modulato la sua richiesta con tutta l’autorevolezza di cui era capace, in modo che si capisse che non era dettata da un capriccio. E ora non era disposto a cedere di un millimetro.
“Una visita di cortesia” disse mentre estraeva con gesto sicuro un cartoncino dalla tasca della giacca dove, vergato con eleganza, c’era il suo nome. Allungò la mano per piazzarlo proprio sotto gli occhi del militare.
Questi non fece un solo gesto per prenderlo. Non lo degnò nemmeno di un’occhiata. Tutta la sua attenzione era rivolta a lui. Mentre lo scrutava, con l’accanimento che normalmente si pensava che si dovesse avere con i banditi, iniziò a dondolarsi sulle gambe. Forse voleva attirare l’attenzione sugli stivali lucidati in maniera impeccabile. Lo studiava e intanto usava la divisa come un’arma per intimidirlo.
Il Morandi cominciava ad irritarsi. Tutti uguali, i militari! Incapaci di comprendere le situazioni, di valutare i fatti con la dovuta elasticità. Regolamento e disciplina. Disprezzo per i civili. Tutte cose che conosceva alla perfezione. La sua mano fece per muoversi per andare a sfiorare il bottone nero che teneva appuntato sul risvolto della giacca, ma riuscì a dominarsi. Guardava a sua volta l’interlocutore senza dar a vedere di esserne intimorito.
L’ufficiale continuò per un po’ a scandagliarlo, poi si mosse di colpo per andare alla scrivania dove era seduto l’attendente. Allungò una mano e questi gli porse immediatamente una cartellina, che studiò con un’attenzione esasperata. Alla fine restituì l’incartamento al subordinato e tornò senza fretta da lui.
“Il Capo del Governo non può essere disturbato. Per nessun motivo! Tanto meno – e qui scandì le parole ad una ad una – per una visita di cortesia”. Fece una piccola pausa e poi sibilò “E ora se ne vada!”
L’ingegnere ebbe un motto di esitazione.  Era tentato di ribattere ma la paura di eccedere a causa della sua naturale avversione per i militari, lo convinse a desistere. Sostenne lo sguardo sprezzante dell’altro fino a quando ritenne che fosse abbastanza. Quindi gli girò le spalle, allontanandosi.

sabato 15 dicembre 2012

L'amico di Mussolini - La stazione Termini

Voglio condividere con voi quello che sto imparando nel documentarmi per il romanzo che ho iniziato a scrivere. Oggi parliamo della stazione Termini.

La storia delle ferrovie a Roma nasce di fatto con l'elezione di Pio IX. Il suo predecessore Gregorio XVI, infatti, era un feroce avversario di certe modernità, arrivando a negare il suo appoggio alla realizzazione di un collegamento fra Bologna e Ancona caldeggiato anche da Gioacchino Rossini.
Bisogna comunque dire che, il frazionamento politico del nostro Paese, abbinato ad un'economia ancora arretrata rispetto, ad esempio, a quella inglese e francese, frenava lo sviluppo organico delle idee ferroviarie e si dovette attendere la congiunzione di alcune variabili favorevoli perché sparse e spesso velleitarie iniziative fossero convogliate verso un unico progetto.
Il nuovo papa si fece promotore dei collegamenti della città eterna con le realtà circostanti. Nacque quindi l'esigenza di costruire una stazione per la gestione del traffico ferroviario della città eterna.
Nel 1867 l'architetto Salvatore Bianchi costruì la Stazione Termini nella zona dell'Esquilino, dove all'epoca c'erano solo vigne e campi coltivati.
La Stazione Termini alla fine dell'800
Subito essa fu oggetto di critiche per le dimensioni ritenute eccessive per una città di solo 180.000 abitanti. In realtà essa risultò presto insufficiente a smaltire il traffico della città, che nel frattempo era diventata Capitale.

Fra ampliamenti e progetti (uno dei quali prevedeva una stazione sotterranea) si arrivò al primo dopoguerra quando l'architetto Angiolo Mazzoni presentò un progetto che prevedeva un'enorme atrio concepito non come filtro tra stazione e città, bensì come "imponente porta del tempio". L'approvazione definitiva del progetto, il 3 febbraio 1939 portò quindi alla costruzione di un avancorpo monumentale con un porticato imponente e un atrio di 12 mila mq. completamente vuoto, con l'unico scopo della suggestione, relegando nei corpi laterali tutti i servizi per il viaggio, sì da pregiudicare l'efficienza dell'esercizio ferroviario e le comodità per il pubblico. 
Una curiosa caratteristica del progetto "Mazzoniano" fu l'intento di rappresentare la Nazione con i marmi pregiati: per i rivestimenti delle pareti e dei pavimenti furono scelti preziosi marmi tipici italiani. 

Lo scoppio della guerra ed altri fattori bloccarono i lavori, che ripresero solo nel 1947 con un nuovo concorso indetto per completare l'opera. Caratteristiche dominanti del nuovo progetto dovevano essere forme chiare, trasparenti e funzionali, in armonia con quanto era già stato costruito e convivendo con gli 80 metri di mura con punte di 9 metri di altezza dell'Agger Servianus.

La stazione Termini come si presenta oggi
Si decise di articolare lo spazio in 4 fabbricati distinti ma insieme collegati alle due ali della stazione e a Piazza dei Cinquecento: il fabbricato frontale ("E"), l'atrio biglietteria, la galleria di testa e il ristorante esterno. Tutto il complesso si sviluppava su un'area di 14 mila mq.  I resti dell'Agger Servianus, adeguatamente valorizzati dal "Dinosauro", raffigurano idealmente la continuità tra l'antica e la moderna arte del costruire. 
Conclusi i lavori, la stazione Termini prese la forma che conosciamo oggi e venne inaugurata il 20 dicembre 1950 dall’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.