Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

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sabato 14 gennaio 2012

Paco de luna - Terzo quadro 6 [gianbarly] Sala d'attesa


Della Robbia - Visitare gli infermi

Finito il lavoro nel vicolo, ci eravamo incamminati verso l’ospedale. Il pensiero di Giuliana ci opprimeva e volevamo starle vicino, per quanto possibile.
Nella sala d’attesa della Terapia Intensiva trovammo gli altri. Sui lori volti leggevamo la nostra stessa angoscia.

Le informazioni date loro dai medici erano sconvolgenti: oltre alle fratture agli avambracci ed alle numerosissime ecchimosi su tutto il corpo, aveva una frattura alla base cranica, un principio di sfondamento dell’osso parietale destro, un’orbita gravemente danneggiata per cui avrebbe perso sicuramente un occhio e numerose costole rotte. Una di queste le aveva lesionato un polmone, provocandole un pneumotorace. Era in coma ed alla domanda di quante possibilità avesse di riprendersi il medico aveva allargato le braccia.
Non restava che attendere. Stazionavamo in quella stanza irreale come immersi in un liquido denso, in un tempo sospeso, infinito. Ci muovevamo pochissimo, con gesti lenti, evitando di parlare. Alla luce cruda dei neon l’ambiente si rivelava un qualcosa di artificiale, inadatto ad ogni forma di socialità. Ogni forma di calore umano era come assorbita dalle pareti bianche ed immediatamente neutralizzata.  Avevamo in mente, tutti quanti, molte domande, ma nessuna voglia di tirarle fuori in quel momento.
Ad un certo punto uscirono dal reparto due figure ripiegate, che si reggevano a vicenda: i genitori di Giuliana. Solo la madre ci diede un’occhiata faticosa, come a chiederci di non assillarla, poi li vedemmo scivolare verso l’uscita.

La loro apparizione ci scosse un poco. Cominciammo a parlare fra noi, dando la stura a quello che ci tenevamo dentro. Ognuno aveva qualcosa da dire, quando l’aveva vista l’ultima volta, cosa si erano detti, ma chi se lo poteva immaginare, cosa ci faceva in quel vicolo, di notte poi. Mi accorsi che forse ero l’unico a sapere della sua vita notturna. Per gli altri lei era, probabilmente, la scialba Giuliana di cui ci si accorgeva pochissimo, in redazione.
Chi sarà stato? La domanda, fino a quel punto evitata, ci costrinse a riprendere, almeno in parte, il nostro abito professionale. In fondo eravamo giornalisti e TeleCittà era un’emittente molto sensibile ai problemi della sicurezza dei cittadini. Non a caso era stata decisa su due piedi la diretta non-stop. La linea editoriale della tele era tanto semplice quanto chiara: grande interesse per i fatti locali e due bandiere da portare avanti sempre e comunque: la delinquenza dilagante ed il degrado dei costumi. Non c’era fatto di cronaca che non fosse sviscerato alla luce di possibili comportamenti che potessero allarmare i nostri spettatori. In fondo, se Anna Maria aveva perso la sua posizione per colpa di Pierfrancesco era proprio per l’importanza che la tele dava agli episodi di delinquenza.

Chi era stato a ridurla così? Qualcuno azzardò l’ipotesi di un maniaco, o di qualcuno conosciuto da poco, su qualche chat. Riccardo, stranamente quieto in quell’occasione, gettò un’occhiata significativa verso la parete opposta della sala d’attesa. Ci voltammo quasi all’unisono. In effetti non l’avevo minimamente notato ma da quella parte c’era una persona che non faceva parte del nostro gruppo. Era un uomo sui quarant’anni che si muoveva avanti ed indietro con passo pesante. Sembrava roso da una rabbia tremenda, che pareva sul punto di esplodere. Non dava segno di accorgersi di noi. Mi domandai come faceva la dolce Giuliana a stare con uno così.
Proprio in quel momento il tizio si risolse a fare qualcosa. Andò alla porta del reparto e bloccò un’infermiera che ne stava uscendo. A voce alta disse che doveva vedere Giuliana, chiedendo che lo portassero da lei. L’infermiera cercava di calmarlo e scuoteva la testa. Lui insisteva, incalzandola con modi sempre più ultimativi. Arrivò un collega della donna che in maniera calma, ma con grande decisione,  gli spiegò che non era possibile in quanto – per la legge – lui non risultava essere parente della donna. Lo pregò di avere pazienza e lo convinse a ritornare al suo posto.
Facemmo qualche illazione a mezza voce, senza però la voglia di insistere su quel tasto. Era già abbastanza imbarazzante la situazione in se, senza doverci ancora mettere sopra l’ombra di un sospetto. Avremmo seguito il lavoro della polizia, aspettandone i risultati.

Ad un certo punto arrivò Paolo. Fui felice di vederlo. Venne diritto verso di noi e si informò brevemente della situazione. Ascoltava impassibile quello che gli altri gli dicevano. Fece un paio di domande, poi cercò dove sedersi. Io gli feci posto accanto a me.
Provai a chiedergli un’opinione, ma si limitò a sollevare le spalle. Mi domandai dove fosse stato, fino a quel momento. Di sicuro era l’unico che non si fosse precipitato al lavoro non appena raggiunto dalla notizia.
Intorno a noi ricominciò un sommesso chiacchiericcio. Paolo, al suo solito, sembrava seguire ogni discorso ed ogni tanto buttava lì una parola. Anche in questa occasione ero ammirato delle sue capacità. Pure a me davano fastidio le chiacchiere vuote, fatte solo per dare aria alla bocca. Non mi piaceva che qualcuno potesse cercare di farsi notare semplicemente sparando la prima cazzata che gli veniva in mente. Soprattutto in un momento come quello. Io però non sarei riuscito ad impedirlo. Mi limitavo ad ascoltare e, quando riuscivo a dire qualcosa, le mie parole scivolavano via senza lascia traccia, come se non le avessi pronunciate. I suoi interventi, invece, erano sempre azzeccati e riuscivano a riportare su di un piano di realtà quelli che divagavano troppo, tirando fuori ipotesi fantasiose o argomenti non pertinenti.


Paolo era perfettamente padrone della situazione e cercava di mantenere il suo solito atteggiamento distaccato. Però io che lo conoscevo bene mi accorgevo che era turbato. Riuscivo a vedere nei piccoli dettagli del suo comportamento quei segni rivelatori di uno stato di profonda agitazione. Pensai che si dimostrava così una persona sensibile, partecipe del dramma che toccava la nostra collega. Ad un certo punto ricevette un messaggino sul cellulare; diede un’occhiata infastidita al display e poi lo cancellò con un gesto di stizza. Credo che nessun altro lo avesse notato, ma a me non era sfuggito. Anche se non voleva darlo a vedere il mio amico Paolo era stato profondamente colpito da quello che era successo.


vai al quarto quadro

3 commenti:

  1. letto tutto d'un fiato...bello e coinvolgente

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  2. Molto coinvolgente, davvero.
    Ciao Gianbarly, sono contenta di rileggerti.
    A presto!
    Lara

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  3. Grazie Stef e Lara. Mi date lo stimolo per andare avanti. Sto lavorando alla prima scena del quarto quadro. spero di poterla postare presto.
    Lara, è bello risaperti fra noi. a presto!

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